i Giovani Comunisti, di Rossana Zardi

“non siamo venuti a dirti che fare, non siamo venuti a guidarti da nessuna parte; veniamo a chiederti umilmente, rispettosamente, che ci aiuti”
(Subcomandante Marcos)

I giovani comunisti (GC) sono l’organizzazione giovanile del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Un’organizzazione un po’ particolare, che tiene parecchio a rivendicare una propria “autonomia”; è una rivendicazione che non si basa certo su un insofferente conflitto tra generazioni, ma sulla Storia della nostra organizzazione.
Vorrei dire la Nostra Storia anche se io sono entrata da poco e molto conosco per “sentito raccontare” e per averne visto e vissuto, anzi vivendone, i frutti.
I nostri riferimenti sono (da sei anni a questa parte) il movimento, le associazioni, i sindacati e le sensibilità insieme a cui abbiamo camminato. Anche ora che il nostro partito è parte della coalizione governativa, conflitto e consenso continuano ad essere le nostre direttrici. Se una scelta del governo è sbagliata non ci interessa quale sia il segno di quel governo: i G.C. sono col movimento, con la società che si oppone a quella scelta. L’autonomia della nostra organizzazione risiede nella “connessione sentimentale” e sociale con la nostra generazione.

Siamo la generazione di Genova 2001: quest’esperienza ha costruito il senso di un’appartenenza politico-culturale anche per quelli che lì non c’erano. Conosciamo infatti il potere dell’evento simbolico nella società globale: vedi l’11 settembre 2001 e l’inizio della “guerra globale permanente”.
Prima delle giornate di Genova eravamo la “generazione X”, indefinibili e invisibili: solo una fascia di mercato a cui imporre nuovi stili di consumo.
Essere Giovani Comunisti prima di Genova poteva significare, nell’ipotesi più generosa, essere figli di una storia senza futuro. La scelta di far parte del movimento dei e delle disobbedienti ha riconnesso la voglia di cambiare il mondo con l’organizzazione politica. In questi anni abbiamo imparato che la politica è prima di tutto ricostruzione di spazi di socialità tra diversi, e che l’agire collettivo, plurale, orizzontale, aperto ma allo stesso tempo capace di azione, è la sfida necessaria.
Per questo che non c’è stata nessuna vertenza, conflitto, movimento a cui non abbiamo partecipato, in queste esperienze ci siamo contaminati con culture, storie, generazioni diverse dalle nostre. Abbiamo capito che l’identità è un processo, ma anche la memoria di una sfida che ha mosso uomini e donne in tutto il mondo. Non abbiamo mai pensato di sostituire Che Guevara con Marcos: attraverso di essi possiamo guardare negli occhi tutti i subalterni della terra e con loro condividere la parola “rivoluzione”.
Per questo abbiamo sentito come nostri fratelli e nostre sorelle quelle e quei migranti con cui abbiamo provato a distruggere le reti dei CPT.
Per questo abbiamo sentito come nostri compagni gli autoferrotranviari di Milano e gli operai di Melfi.
Per questo abbiamo sentito anche nostra l’aria, la terra e il cielo degli abitanti della Val di Susa come di Scanzano e di Vicenza.
E’ una nuova storia di resistenza e liberazione, non scendiamo come i partigiani dalle montagne ma attraversiamo le strade desolate delle nostre metropoli.
In queste strade abbiamo portato con orgoglio la libertà dei nostri corpi accanto a gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Il 9 giugno scenderemo di nuovo in piazza, a Roma, per il GAY PRIDE e soprattutto per gridare a gran voce che nessuno può giudicare, nessuno può permettersi di decidere per un altro o di dichiararlo persona indegna; e grideremo anche che è una bestemmia, appellarsi ai santi per giustificare simili bassezze ed infamie.

In questi anni abbiamo partecipato a tutti i Forum Sociali Europei e Mondiali; lì in particolare è maturata la scelta di passare dalle “relazioni diplomatiche” classiche alla solidarietà attiva con i movimenti e le organizzazioni che abbiamo incontrato nel mondo.
Ad esempio, la partecipazione al Festival Mondiale della Gioventù di Caracas che ci ha permesso di comprendere meglio la straordinaria esperienza della rivoluzione Bolivariana di Hugo Chavez.
In Palestina, dove con le associazioni Kufia e Tayush pratichiamo l’interposizione e la contestazione del muro di “difesa” eretto da Israele, oltre a cooperare in un progetto di resistenza nonviolenta a Tulkarem, mentre a Betlemme stiamo costruendo un mediacenter per i giovani dei campi profughi.
In Chiapas, dove dopo la partecipazione alla marcia della dignità indigena abbiamo promosso patti di solidarietà tra enti locali e municipi autonomi ribelli.
In Kurdistan come nel deserto algerino dove siamo stati osservatori internazionali e abbiamo manifestato per l’autodeterminazione del popolo Saharawi e Kurdo.
Siamo stati nei campi di lavoro a fianco del popolo cubano, sentendoci partecipi della loro tenace e quotidiana lotta contro l’aggressione statunitense.
E’ un altro modo di fare internazionalismo che ci ha cambiato e ci ha formato. E’ la nostra proposta per una generazione che vuol mettersi in mezzo fra l’umanità e la violenza, per la quale oltre l’indignazione esiste la possibilità di un intervento concreto.
Siamo i compagni di Angelo Frammatino, quel ragazzo ucciso l’agosto scorso a Gerusalemme, mentre partecipava ad un campo di lavoro dell’ARCI; accoltellato per strada da un ragazzo palestinese.

Quando parliamo di precarietà non ci riferiamo semplicemente a diritti negati sul terreno del lavoro e alla tipologia contrattuale, ma ad una condizione generale della nostra generazione. Essa si traduce nell’impossibilità di godere effettivi diritti di cittadinanza, di accedere a beni e servizi fondamentali, materiali e immateriali. Essa attraversa la dimensione dell’abitare, la mobilità e i costi dei trasporti, la qualità della formazione, la possibilità di accesso alle informazioni, alle conoscenze, alla cultura, fino ad abbracciare l’incertezza di un modello di sviluppo in crisi e la promessa di un avvenire di guerra, di instabilità, di paura.
Precarietà insomma come l’inaccettabile condizione di vita che soffoca oggi la nostra generazione.
Una condizione che eccede la dimensione semplicemente economica per diventare esistenziale:
“precario” è anzitutto colui che subisce il furto più terribile che si possa fare ad un/una giovane, il furto del proprio futuro, della stessa possibilità di immaginare, progettare e costruire la propria vita.
Il riconoscersi in questa descrizione e in questa narrazione della propria condizione soggettiva, ancor prima che la tipologia di contratto o il piano rivendicativo, ha portato in questi anni migliaia e migliaia di giovani precari e precarie a partecipare alle manifestazioni dell’EuroMayDay. E lo stesso immaginario e la stessa voglia di futuro hanno portato in piazza gli studenti francesi nella più grande battaglia e la più grande vittoria contro la precarietà.

Questi sono i Giovani Comunisti, questa è l’organizzazione di cui siamo parte in una ventina di ragazzi della provincia. Noi lecchesi abbiamo partecipato solo ad alcune delle imprese citate nell’articolo (che sono, esse stesse, solo frammenti della vita dell’organizzazione). Abbiamo età diverse, pensieri ed opinioni diverse. Siamo sparsi qua e là per il territorio provinciale. Non siamo quasi per nulla visibili: lo siamo come singoli, ma mai come gruppo.
Cercheremo di presentarci in occasione della Festa di Liberazione della Brianza che si terrà dal 12 al 22 luglio prossimi. Per quei giorni stiamo preparando alcuni dibattiti, occasioni per discutere di:
– carcere, delle carceri delle nostra zona, di come si vive al loro interno, di come sia possibile l’intreccio tra gli abitanti di queste strutture e quelli del territorio intorno;
– disegno di legge per una nuova legislazione sull’immigrazione
– omogenitorialità con l’aiuto di Famiglie Arcobaleno, un’associazione di mamme lesbiche con figli , affiliata all’ARCI
– storia di Lotta Continua e degli anni tra il ’68 e ’78, storie a noi sconosciute per motivi anagrafici ma di cui non vogliamo rimenere digiuni
Terremo un banchetto presso il quale troverete noi, materiali informativi e due “mostre fai da te”: una riguarderà le giornate del G8 di Genova 2001, raccontate da alcuni fumettisti ognuno con il proprio stile. L’altra offrirà piccoli racconti di vita in carcere.
Saremo sparsi per la fiera ma.. ci potrete riconoscere dalla maglietta!

Rossana Zardi
Coordinatrice dei Giovani Comunisti della provincia di Lecco

4 pensieri su “i Giovani Comunisti, di Rossana Zardi

  1. Il Comunismo Democratico non esiste.
    Niente Democrazia… niente libertà.
    Per cosa vi battete? Per essere schiavi di qualcuno? Di un dittatore comunista?

  2. se ad essere dittatore è il popolo, la gente comune, beh allora sì… lo dice persino la nostra costituzione, “il popolo è sovrano”…

  3. Se il popolo è dittatore di se stesso si chiama anarchia perchè nessuno piu’ decidera’ per gli altri ma ognuno sara’ dittatore di se stesso.

  4. vedi caro Gabriele, se nei fatti storici più famosi l’ideale comunista è stato reso fondamenta ideologico di regime, non significa che “sognare, volere e cercare di realizzare un mondo migliore per ognuno, un quotidiano in cui l’interesse egoistico non prevalga sulla libertà di tutti” debba essere un ideale basato sulla prepotenza o sulla convinzione di essere migliori o sul sentirsi detentori dell’unico vero Sapere.
    Pensare il comunismo in questo modo e chiudersi a riccio quando qualcuno che si dice comunista cerca di mostrare le distese sconfinate in cui si è sviluppato il nostro pensiero da decenni a questa parte, è un comportamento un po’ ottuso. E’ un po’ come intestardirsi sull’idea che ogni comunista abbia un debole per la carne di bambino.

    p.s. grazie per averci letto ed aver scritto “la tua” :O)

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